Abbiamo scoperto, sfogliando i quotidiani dei giorni scorsi, che la famosa app Immuni, quella ritenuta indispensabile per tracciare gli eventuali contatti con soggetti positivi, in Veneto non ha mai funzionato.
Il caso è venuto alla luce grazie ad un cittadino padovano che, dopo aver riscontrato la sua positività attraverso il classico tampone, ha comunicato, in un eccesso di zelo, il suo codice personale all’Ulss di competenza affinchè fosse inserito nella banca dati dei tracciamenti ma, a quel punto, si è sentito rispondere che il suo gesto era inutile in quanto i dati non vengono caricati proprio perché l’app Immuni, nella Regione Veneto, non è mai stata attivata!
La vicenda pare non abbia suscitato tutto lo scalpore che meriterebbe, soprattutto in un momento nel quale la curva dei contagi pare tornata a crescere in modo inesorabile.
L’ente preposto, che pare essere proprio quello diretto dalla dottoressa Francesca Russo, si è affrettato a dire che nei prossimi giorni il “problema” verrà risolto.
Di fronte ad una mancanza così macroscopica ci saremmo aspettiati un minimo di autocritica, se non delle scuse vere e proprie, ma il governatore del Veneto pare essere stato molto superficiale e generico rispetto alla vicenda, preferendo evidentemente mantenere un basso profilo nella speranza che la questione si sgonfiasse.
Un comportamento che, vista la posta in gioco, è sicuramente grave, ma che acquista ulteriore gravità se ripercorriamo alcune delle vicende degli ultimi mesi,
Luca Zaia, infatti, è stato rieletto alla guida della Regione anche grazie alla narrativa, veicolata in tutti i modi, del vincente “modello veneto” nel contrasto nella fase più dolorosa dell’epidemia sanitaria. Nelle conferenze stampa quotidiane ha vantato, giorno dopo giorno, i meriti di un sistema preso a modello a livello internazionale.
L’occupazione dei mass media non è però stato l’unico modo nel quale Luca Zaia, strumentalizzando la lotta al Coronavirus attribuendosi meriti non suoi, ha costruito la suggestione che l’ha portato ad una vittoria plebiscitaria.
La zampata finale della campagna elettorale, definita dall’opposizione “Propaganda da Corea del Nord-Est”, è stata la pubblicazione di un diario-fumetto, dedicato agli alunni delle scuole primarie venete, che racconta la saga del “Re del Veneto”, (che ha le fattezze del governatore Zaia) mentre, assistito dalla principessa, (che invece rappresenta la dottoressa Francesca Russo stilizzata), e da elfi e maghi, “sconfigge il nemico invisibile”.
E’ così che il diario “Diversamente Veneto”, che normalmente aiutava i bambini ad individuare province e montagne, è diventato oggetto della prosopopea del Presidente della Regione, individuando nei bambini il target ideale per raggiungere i loro genitori in un esercizio di propaganda elettorale antipatico, arrogante e di cattivo gusto.
Riteniamo doveroso aprire una parentesi per ricordare che si tratta dell’ennesimo fumetto in stile revisionista dopo quello, completamente decontestualizzato e fuorviante, donato a tutte le scuole del “Regno” dalla riconfermata assessora all’istruzione Elena Donazzan. “Foiba Rossa” ispirato dal film “Rosso d’Istria” riscrive le vicende relative alle foibe ripercorrendo la storia di Norma Cossetto, brutalmente uccisa dai partigiani titini ed eretta a simbolo nazionalista dalla destra italiana.
Tornando al fumetto di Luca Zaia, la nostra definizione di “pubblicazione revisionista” in questo caso è dovuta ad una narrazione del “modello veneto” di lotta al Coronavirus falsata dall’esclusione dal racconto del vero artefice di quello stesso modello, il microbiologo Andrea Grisanti. E’ stato lui, e non Luca Zaia o la professoressa Russo, ad intervenire nel paesino di Vò Euganeo per impedire che quel focolaio determinasse ciò che è accaduto drammaticamente a Bergamo in seguito all’esplosione del focolaio della Val Seriana. Successivamente è stato sempre Andrea Grisanti, primo su tutto il territorio nazionale, e in contrasto con le stesse indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, a spingere il governatore Zaia ad utilizzare lo strumento dei tamponi. Il professor Grisanti è stato però defenestrato nel momento in cui il Presidente Zaia ha voluto riprendere in mano il timone, tornando ad anteporre l’economia alla salute pubblica e riallineandosi così nel solco del pensiero leghista più salviniano dimostrandosi sordo alle critiche che il microbiologo non lesinava.
D’altra parte, questa lettura distorta è perfettamente in linea con il concetto espresso più volte da Luca Zaia, secondo il quale i meriti nell’aver rallentato l’epidemia in Veneto devono essere attribuiti alla politica, (cioè a lui stesso) e non ai tecnici, (cioè ad Andrea Grisanti) perché è sulla prima che ricadono le responsabilità decisionali.
Seguendo il suo stesso pensiero, non possiamo esimerci dal chiederci perché allora oggi, in relazione al fallimento della sua non azione rispetto all’attivazione della app Immuni, Luca Zaia non abbia la coerenza di adossarsi la completa responsabilità.
Potremmo fermarci qui, ma volendo affondare il colpo fino in fondo non possiamo non aggiungere che ricordiamo bene la spocchia con la quale Luca Zaia accolse la creazione di Immuni, arrivando ad affermare che il Veneto ne avrebbe creata una seconda, funzionante a livello regionale. Evidentemente il progetto si è perso nel rilassamento estivo, forse nella convinzione che tutto fosse ormai passato, ma la vicenda ci lascia in bocca un gusto amaro, che al di là del giudizio sull’utilità dell’app Immuni, pare avere il gusto del boicottaggio.