Covid, dal “Modello Veneto” al “Caso Veneto”.

22.1.21            

La vicenda dei tamponi rapidi e le menzogne consapevoli della giunta leghista guidata da Luca Zaia

Nella seconda metà di ottobre del 2020 era in corso una gara d’appalto, del valore di 148 milioni di euro, per una maxi-fornitura di test rapidi che ha coinvolto diverse regioni italiane e che vedeva come capofila il Veneto. L’appalto prevede, valevole per un bimestre, era riconfermabile per ulteriore due mesi.

In quegli stessi giorni il professor Andrea Crisanti, direttore del reparto di microbiologia e docente universitario a Padova, attraverso le analisi condotte su 1593 pazienti, (numero considerato statisticamente significativo), conduceva, in collaborazione con i reparti di Infettivologia e di Pronto Soccorso, uno studio basato su un doppio test diagnostico per rilevare il Covid19, effettuando prima il tampone rapido e poi quello molecolare. I risultati mettevano in evidenza un margine di errore riferito ai falsi negativi riscontrati nei test rapidi pari all’incirca al 30%. Infatti, dei 61 casi positivi rintracciati, ben 18 di questi erano sfuggiti al test rapido! Vittime illustri di questo tipo di errori sono state, ad esempio, Federica Pellegrini e Mara Maionchi di “Italia’s Got Talent”, dapprima risultate negative al test rapido e successivamente scopertesi positive.

Questo risultato ha portato lo stesso Crisanti ad affermare che “i dati sollevino delle criticità”. Per questo ha aggiunto: “In autotutela, questa Unità operativa da oggi non emetterà referti negativi basati sul test antigenico Abbott”.

Tali criticità, anche se non ancora sorrette dall’evidenza dei numeri, erano già conosciute da tempo, al punto che Roberto Rigoli, direttore dell’Unità operativa complessa di Microbiologia dell’Usl 2 di Treviso, diventato coordinatore delle microbiologie venete, già nell’agosto del 2020, pur affermando in una missiva all’Azienda Zero del Veneto, (quella che coordina tutte le altre aziende sanitarie della regione), che “i prodotti in questione sono da ritenersi idonei per un’attività di screening ad ampio raggio”, non ha però potuto esimersi dall’aggiungere che “Gli eventuali campioni che dovessero risultare positivi saranno sottoposti a esame di conferma mediante le tradizionali tecniche di biologia molecolare attualmente in uso, che rimangono quelle di elezione per la diagnosi di infezione da Covid-19”.

Il professor Rigoli ammetteva dunque una maggiore attendibilità dei test molecolari, al punto da stabilire che i casi di positività dovessero essere confermati da un test “di elezione” molecolare. Il problema però non sono i falsi positivi, (che al massimo rischiano un fastidioso perìodo di quarantena), ma i falsi negativi, che risultano ben più numerosi e possono aumentare i contagi.

Successivamente, il 29 settembre 2020, una Circolare del Ministero della Salute, sulla quale torneremo in seguito, attestava nuovamente, e con più determinatezza rispetto alle parole del professor Rigoli, la scarsa affidabilità dei tamponi rapidi di prima e seconda generazione rispetto a quelli molecolari.

Tutto questo non significa che quel tipo di test rapidi, e ci riferiamo a quelli di prima e seconda generazione, siano del tutto inutili o che la Regione Veneto abbia sbagliato nel comperarli, considerato il fatto che ad ottobre erano ancora i più innovativi e che in alcuni contesti, come quello scolastico, possano essere utilizzati come “screening di comunità”, in modo da capire in tempi rapidi se è necessario agire con test che abbiano specificità e sensibilità maggiore, come quelli molecolari.

E’ necessario fare un passo indietro per raccontare come i rapporti tra il professor Crisanti e il governatore Luca Zaia si siano fortemente incrinati al finire della prima fase della pandemia. Lo riteniamo importante perché ci appare evidente come al centro della vicenda vi sia, ancora una volta, lo scontro tra una visione politica, incarnata da Zaia, e l’evidenza scientifica, sostenuta da Crisanti. Nonostante l’innegabile apporto che il microbiologo ha dato con lo studio epidemiologico di Vò Euganeo nelle fasi iniziali dell’emergenza sanitaria, e il conseguente sdoganamento dell’utilizzo dei tamponi molecolari, all’epoca sconsigliati addirittura dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, Crisanti è stato poi bruscamente emarginato non appena la prima fase di contagio acuto si è indebolita. Luca Zaia ha preferito, o ha dovuto, rientrare nei ranghi della visione politica del suo partito, la Lega, che insisteva nel minimizzare gli effetti del virus e nel sostenere la priorità dell’emergenza economica. Abbandonati i consigli del professore, evidentemente giudicato troppo prudente, il governatore ha disconosciuto anche i suoi innegabili meriti, forse impaurito dalla popolarità che Crisanti stava assumendo nell’avvicinarsi delle elezioni regionali. Luca Zaia ebbe modo di ripetere in più occasioni che il merito del “salvataggio del Veneto” era da ascrivere più alle decisioni politiche che all’impegno della scienza. Nell’immediatezza della scadenza elettorale il presidente della Regione Veneto ha stravolto il consolidato contenuto, (incentrato sulla conoscenza orografica e della natura del territorio) di un diario che la regione destina ogni anno ai bambini delle scuole primarie, per trasformarlo in un pacchiano fumetto dove lui stesso, autoproclamatosi per l’occasione “Re del Veneto” appare in compagnia della professoressa Russo, (la dirigente dell’ente di prevenzione al contagio del Coronavirus, indicata come colei che non ha attivato l’app Immuni in regione), nei panni della principessa, in una narrazione che racconta come proprio il Re del Veneto, assieme ai suoi fedelissimi, avrebbe sconfitto il virus. Pubblicazione da ventennio, insomma, nella quale colpisce la mancanza assoluta del riferimento al professor Crisanti… Forse, vista la caratura del diario, è davvero meglio così.

Un assaggio del fumetto del “Re del Veneto”.

Tornando al perìodo nel quale esce lo studio sui test rapidi, il  problema che si palesa alla Giunta regionale è che, nonostante il professor Crisanti sia stato emarginato, continua ad affermare le sue tesi, forte del suo studio epidemiologico (che non è mai stato messo in discussione), e della popolarità ormai acquisita che lo mette nelle condizioni di essere ascoltato e apprezzato. Il danno d’immagine per Luca Zaia, fino ad ora osannato come il fautore del “Modello Veneto”, e che ha spinto molto nella Conferenza Stato-Regioni perché altre regioni si avvalessero dei test diagnostici rapidi, avrebbe potuto quindi essere consistente. Ad aggravare la situazione è la coincidenza temporale nella quale si chiude la gara d’appalto per la fornitura dei test e la pubblicazione della verifica condotta dallo staff di Crisanti che, pubblicata il 21 ottobre, viene inviata dopo una settimana agli enti governativi interessati. Inoltre, con l’innalzamento dei contagi in Veneto è lo stesso modello Zaia, portato ad esempio in tutta la nazione, a venir messo sotto osservazione.

E’ a questo punto che, secondo un’inchiesta de “L’Espresso” inizia una campagna finalizzata a screditare il professor Crisanti.

Pochi giorni dopo la pubblicazione dello studio, infatti, un giornale locale dà notizia di una lettera interna all’ospedale di Padova ed indirizzata al primario Luciano Fior, nella quale sia il primario Vito Cianci del Pronto Soccorso che quello di malattie infettive Anna Maria Cattelan, prendono le distanze dalle verifiche sui test rapidi effettuati da Crisanti, affermando di non essere «mai stati contattati da Crisanti».

La lettera non mette in dubbio i dati scaturiti dalle analisi, ma mette in evidenza la violazione della privacy dei pazienti e le forme procedurali rispetto alle autorizzazioni per condurre i test clinici. Nei giorni successivi, racconta sempre “L’Espresso”, i medici e i collaboratori dei due primari firmatari della missiva hanno chiesto, perplessi, spiegazioni ai loro diretti superiori. Uno dei due ha risposto che la lettera non rappresentava un atto spontaneo, ma “sollecitato dalle alte sfere della Regione”. Le parole del secondo primario, riportate testualmente, sono ancora più esplicite: «Siamo stati presi per il collo, con tutte le relative possibili minacce sottostanti».

In realtà “L’Espresso” ha scopero l’esistenza di una seconda lettera indirizzata al direttore dell’ospedale, e redatta nei giorni immediatamente successivi la consegna della prima, dove i due primari asserivano che i test clinici erano avvenuti «nell’ambito di un approfondimento diagnostico in pazienti sintomatici per sospetto covid-19 sulla base di criteri clinici e gestionali».

Alla stampa è stata però data notizia soltanto della prima lettera, evidentemente sempre su pressione delle “alte sfere della Regione”.

Ma non è tutto qui, anzi, il peggio, dal punto di vista sanitario, è scritto nel seguito del nostro articolo.

Con la delibera di giunta n°1422, promulgata il 21 ottobre 2020, e quindi lo stesso giorno in cui è stato pubblicato lo studio, la Regione Veneto ha varato un nuovo piano antipandemico, all’interno del quale spicca la nuova normativa diretta alle Aziende sanitarie e relativa all’utilizzo dei tamponi rapidi, in sostituzione a quelli molecolari, per lo screening periodico di monitoraggio sul personale medico. Per avvallare questa decisione nella delibera viene menzionata a testimonianza la Circolare del Ministero della Salute del 29 settembre alla quale abbiamo accenato precedentemente…E allora la citiamo anche noi, nel passaggio inerente alla differente affidabilità dei test rapidi rispetto a quelli molecolari, e a riprova della malafede della giunta regionale guidata da Luca Zaia. In essa si può infatti leggere:

“I tempi di risposta di questi tamponi (quelli rapidi ndr) sono molto brevi (circa 15 minuti) ma la loro sensibilità e specificità di questi test – a seguito di una validazione effettuata su campioni conservati a -80°C – sembrano essere inferiori a quelle del test molecolare”.

Rispetto a questo utilizzo distorto della Circolare il segretario regionale del sindacato Anaao Assomed, Adriano Benazzato, afferma:

“La delibera di Giunta travisa e viola il senso e la lettera della circolare ministeriale e della nota tecnica ad interim per avvalorare la scelta dei soli test rapidi”. Infatti, “la circolare del 29 settembre ha ad oggetto l’uso dei test antigenici rapidi ‘con particolare riguardo al contesto scolastico’”.

Nonostante l’esempio negativo della Lombardia durante la prima ondata pandemica abbia ampiamente dimostrato che quando l’infezione causa focolai all’interno delle strutture sanitarie, contribuendo ad alzare notevolmente i contagi e a mandare in sofferenza le stesse, la Regione Veneto, forse dovendo anche giustificare la maxi fornitura di tamponi, ha quindi deciso scientemente di correre il rischio di avere medici e infermieri che si spostano tra i reparti degli ospedali o tra i padiglioni delle case di cura, ignari di essere diventati vettori di contagio.

Il giorno prima che venisse promulgata la delibera della giunta leghista lo stesso Comitato scientifico della Regione Veneto, mai interpellati prima, ha preso le distanze dall’utilizzo dei test rapidi, chiedendo che medici e infermieri venissero sottoposti a test molecolari ogni otto giorni. Tra i firmatari, oltre a Crisanti, anche l’infettivologa Cattelan, la stessa che, grazie alle pressioni delle “alte sfere della Regione”, aveva siglato l’atto d’accusa contro il microbiologo operante a Padova.

La risposta della Regione Veneto, come abbiamo visto, non si è fatta attendere e, oltre alla delibera in oggetto, ha chiesto un consulto al Comitato tecnico scientifico nazionale.

La risposta è arrivata nei primi giorni di gennaio, con l’ennesima Circolare del Ministero della Salute che conferma, ancora una volta, l’inaffidabilità dei tamponi rapidi di prima e seconda generazione. I parametri minimi richiesti dal Ministero, ad esempio, sono quantificati in 80% di sensibilità, mentre i test utilizzati dalla Regione Veneto arrivano al 70%.

La Circolare si sofferma sui nuovi test, quelli di terza generazione, definendoli “sovrapponibili ai test molecolari”. Nello stesso tempo all’interno del documento si continua a giudicare comunque prevalente il test molecolare.

A questo punto come pensate abbia reagito la Regione Veneto? Facendo mea culpa rispetto agli errori del passato? Tacendo e mettendovi riparo?

Nulla di tutto questo. Infatti se da una parte ha dovuto tornare, con passo felpato, sui suoi passi rispetto all’imposizione dei test rapidi effettuati sul personale sanitario, anche grazie ad una diffida depositata dai sindacati, dall’altra, e cioè nei confronti dell’opinione pubblica, ha mantenuto il comportamento già utilizzato con la precedente Circolare ministeriale del 29 settembre, travisando la nuova circolare e continuando a raccontare bugie cantando vittoria. In un comunicato stampa pubblicato sul portale della regione il 9 gennaio, infatti, il professor Rigoli afferma; “Test di ultima generazione assimilabili alla biologia molecolare. Conferma che il Veneto aveva visto la strada giusta”, “dimenticando” però di rivelare che proprio il Veneto non utilizza i tamponi di terza generazione ma quelli precedenti, e cioè quelli definiti in tutte le circolari ministeriali meno affidabili. Zaia, da parte sua, affida ad un post facebook la sua “vittoria”, non usando nemmeno la sottigliezza mendace di Rigoli e scrivendo semplicemente che la Regione Veneto aveva ragione, perché i tamponi rapidi, (senza quindi nemmeno distinguere tra i vecchi e i nuovi) sono sovrapponibili a quelli molecolari!

A questo punto ci si dovrebbe aspettare un atto di resa all’evidenza scientifica, e invece Luca Zaia e il professor Rigoli, microbiologo operante a Treviso e braccio destro del Presidente per quanto riguarda la lotta al Covid, hanno cantato vittoria, citando la sovrapponibilità dei due test, evitando accuratamente di dire che tale sovrapponibilità si riferisce solamente ai tamponi rapidi di terza generazione, mentre quelli utilizzati dalla Regione sono quelli vecchi, quelli di seconda generazione!

Il “modello veneto” della prima ondata pare sia stato sostituito dal “caso Veneto” durante la seconda. L’incremento esponenziale di casi positivi e decessi ha raggiunto il suo apice in dicembre, attestandosi tra le regioni più colpite dal virus.

Quanto ha inciso l’utilizzo generalizzato dei test rapidi, effettuati quoridianamente in misura doppia rispetto ai tamponi molecolari?

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