I fatti di Vicenza, le correlazioni con Verona e l’ipocrisia delle destre.

Le vicende che ci apprestiamo a raccontare e documentare hanno una correlazione stretta con la nostra città per quanto attiene a quella clausola di salvaguardia, detta anche “clausola antifascista”, a suo tempo inserita e oggi rimossa dal Regolamento comunale, a Vicenza, e mai recepita, invece, a Verona.

Qualche anno fa, a fronte di uno sdoganamento progressivo nei confronti  delle forze riconducibili all’ideologia nazifascista, l’Associazione ex Deportati nei campi di sterminio nazist e l’Associazione Partigiani d’Italia decisero di avviare una campagna nazionale, sottoscritta da molte associazioni, realtà di movimento e persone singole, finalizzata all’inserimento di una clausola all’interno dei Regolamenti comunali che ponesse come requisito per la concessione di spazi pubblici il riconoscimento nei valori della Costituzione Italiana, che comprende il ripudio e la condanna del fascismo.

Alcuni comuni aderirono all’iniziativa e tra questi quello di Vicenza, che, grazie all’amministrazione di centrosinistra guidata dal sindaco Achille Variati, inserì nell’articolo 5 del suo Regolamento la “clausola antifascista”.

L”articolo 5 rimosso dal Regolamento del Comune di Vicenza

Mentre tutto ciò accadeva nel capoluogo berico, in riva all’Adige le cose andavano molto diversamente e l’ennesima amministrazione di centrodestra, guidata dal sindaco Federico Sboarina, si rifiutava sostanzialmente di prendere in considerazione la possibilità di munirsi della clausola di salvaguardia. Anpi e Aned hanno chiesto più volte incontri con il Presidente del Consiglio Comunale Ciro Maschio, di Fratelli d’Italia, non ricevendo riscontri e non qualche risposta evasiva tesa a far cadere la cosa nel dimenticatoio.

Una bozza di mozione, peraltro mai presentata per la mancanza di minimali presupposti di adesione politica, era stata redatta da un consigliere dell’opposizione e potete leggerla QUI, in modo da avere un’idea più dettagliata della richiesta:

Tornando a Vicenza, la nuova amministrazione comunale guidata dal sindaco Francesco Rucco, con la Delibera di giunta n°177, approvata il 21 novembre 2018, ha pensato bene di togliere l’articolo 5 del Regolamento, agevolando la possibilità di ottenere spazi pubblici per le realtà ispirate all’ideologia nazifascista.

Silvio Giovine, iscritto al gruppo Fratelli d’Italia e assessore al commercio e alle attività produttive ha così motivato il suo operato:

“A più di 70 anni dalla fine del secondo conflitto mondiale credo sia il caso di pensare ad una effettiva pacificazione nazionale. Le amministrazioni si devono concentrare sul risolvere i problemi reali dei cittadini anziché perdere tempo su sterili polemiche relative a fascismo e antifascismo” .

L’accenno alle “sterili polemiche” su accadimenti relegati al secondo conflitto mondiale, denota il rifiuto di pronunciarsi sulla necessità, alla base della campagna avviata da Anpi e Aned, di mettere un freno all’intensificarsi di fenomeni violenti e discriminatori, in realtà mai sopiti. Se la tematica fosse stata poi così priva di interesse da essere considerata una semplice “perdita di tempo”, non si capisce perché proprio lui abbia perso tempo nell’andare a rimuovere la clausola antifascista dal Regolamento comunale.

L’attualizzazione della violenza fascista non si è fatta attendere, e solo qualche giorno dopo la cancellazione dell’articolo 5, i soliti noti, evidentemente galvanizzati dal successo ottenuto, non hanno esitato a lanciare una bottiglia molotov contro la sede dell’associazione Caracol Olol Jackson, bruciando uno striscione che recava la scritta “Ieri partigiani, oggi antifascisti”.

La bottiglia molotov lanciata dai fascisti

La risposta è stata grande, e il 19 giugno un corteo formato da circa 3000 persone, organizzato dal Centro sociale Bocciodromo, ha percorso le vie della città, arrivando ad affiggere una gigantesca bandiera antifascista sul muro del Comune di Vicenza.

E’ stata un’uniziativa conro i fascismi, sia quello dal volto più istituzionale, sia quello sbandierato dai gruppi radicali.

Se la pericolosità di questi ultimi si esprime mediante atti squadristi, la responsabilità politica va spesso ricercata in quei partiti della destra istituzionale, a partire da Fratelli d’Italia e Lega che, da una parte agiscono con contenuti discriminatori verso i migranti o i diversi orientamenti sessuali, ad esempio costruendo percezioni distorte finalizzate all’introduzione di politiche securitarie o lanciando campagne oscurantiste, mentre dall’altra rispolverano il substrato ideologico e nostalgico atto allo sdoganamento dei gruppi più radicali. In caso di episodi violenti o atti anche simbolici, chiaramente legati all’ideologia fascista, spesso non si pronunciano e, quando lo fanno, si limitano a generiche condanne, senza mai indicarne chiaramente la matrice.

 Il confine tra le due destre è quindi davvero molto labile, come dimostra, ad esempio, la partecipazione di numerosi esponenti, anche di caratura nazionale, dei due partiti sopracitati, al raduno nazionale di Casa Pound, che si è tenuto l’estate scorsa proprio nei territori al confine tra la provincia di Verona e quella di Vicenza.

Vi sarà tempo per continuare a documentare tutto questo, provando a dare alla cittadinanza qualche chiave di lettura più reale sul profilo dei candidati della destra alle prossime elezioni regionali, ma per ora ci limitiamo a fare qualche esempio sulla sinergia e la sovrapposizione che contraddistingue le due destre.

Sempre a Vicenza sconcertano il profilo e le dichiarazioni di Daniele Beschin, inserito nelle liste della Lega come indipendente per le elezioni del grosso centro di Arzignano, pur ricoprendo ancora il ruolo di referente della provincia di Vicenza per Forza Nuova.

In seguito ad un post sul suo profilo Facebook in cui dichiarava che la modella Mati Fall Diba, di origine senegalese ma con cittadinanza italiana, non poteva essere considerata italiana perché la sua pelle non è bianca, la Lega di Arzignano, commissariata nel perìodo dell’elezione di Beschin in consiglio comunale dal senatore veronese Tosato, decise l’espulsione dell’ormai ex dirigente di Forza Nuova. In realtà nemmeno questo gesto di cesura nei confronti della “destra radicale” fu portato a termine, e dopo tre lunghi mesi fu lo stesso Beschin ad abbandonare il gruppo consiliare della Lega.

A Verona, per tornare su terreni più conosciuti, ricordiamo la figura di Andrea Miglioranzi, passato dal Veneto Front Skinheads e dal gruppo nazi-rock dei Gesta Bellica, alla Lista Tosi, (quella dell’ex sindaco di Verona che, come lui, è stato condannato in via definitiva per istigazione all’odio razziale), fino a Fratelli d’Italia, partito dal quale è stato espulso dopo l’inchiesta “Isola Scaligera”, nella quale Miglioranzi viene accusato di corruzione e collusioni con la criminalità organizzata mentre rivestiva l’incarico di Presidente di un’importante municipalizzata veronese.

Ma l’esempio più eclatante è quello di Andrea Bacciga, finito sotto processo con l’accusa di essersi esibito in un saluto romano rivolto alle attiviste di Non Una di Meno che protestavano, all’interno della sala consiliare contro una mozione antiabortista presentata dal leghista, e integralista cattolico, Alberto Zelger.

Cercando tra gli innumerevoli atti perpetrati dal consigliere riteniamo sia importante sottolineare la mozione n°458 da lui presentata a sostegno dell’ex ministro veronese in forza alla Lega Lorenzo Fontana, che chiedeva l’abolizione della Legge Mancino, la quale norma come reato l’istigazione all’odio razziale.

La motivazione del sostegno è interessante, perché ricondotta alla difesa della libertà di espressione, spesso e volentieri invocata, atteggiandosi a vittime predestinate, dai politici appartenenti alla “destra istituzionale” che intendono promuovere lo sdoganamento della “destra radicale”, (sempre che tali distinzioni abbiano davvero senso). Questa strategia evidenzia però le contraddizioni che dimostrano la strumentalità della motivazione stessa. Ad esempio, il programma elettorale di Sboarina, che prevedeva sostanzialmente la censura dei libri che difendono i diritti delle persone omosessuali mal si accompagna alla donazione alla Biblioteca Civica di libri di ispirazione nazifascista da parte di uno dei consiglieri eletti nella sua lista. Da una parte si limita drasticamente la libertà di espressione nella rivendicazione di un diritto, mentre dall’altra si invoca la stessa libertà per dare visibilità a pubblicazioni scritte anche da chi ha agito per reprimere, spesso nel sangue, diritti esistenziali, tra i quali proprio quello relativo all’orientamento sessuale.

Un estratto dal programma elettorale del sindaco Federico Sboarina

Rispetto alla concessione degli spazi, la stessa relazione tra contraddizione e coerenza raggiunge a Verona, vette inimmaginabili. Mentre da una parte si continuano a concedere spazi pubblici, patrocini e sponsorizzazioni alle formazioni dell’estrema destra, con relative umiliazioni per la nostra città, dall’altra il consigliere Bacciga, con evidente intento provocatorio rispetto alla richiesta di approvazione della clausola antifascista, è arrivato a depositare una mozione, la n°186 , che chiedeva a sindaco e giunta di precludere spazi alla sinistra antagonista!

Il monumento di Porta Palio, concesso a Forza Nuova tramite l’assessore Toffali, sfregiato dalle bandiere fasciste

La contraddizione è palese, la coerenza nel favorire lo sdoganamento lo è ancor di più.

In questa ultima mozione vediamo anche lo sforzo, sostenuto da tempo dai partiti della destra, ma a volte anche da quelli di sinistra, di equiparare l’ideologia fascista al pensiero comunista, sorvolando sulle notevoli differenze, storiche e di senso, che ne sottendono.

Mentre la sinistra ha preso le distanze e condannato con forza le aberrazioni dello stalinismo, a destra non vi è mai stata una chiara presa di distanza dal fascismo. Inoltre, e non è certo cosa secondaria, i milioni di morti dovuti alla guerra, i soprusi e le indicibili sofferenze subite dalla popolazione italiana durante il ventennio fascista non sono certo attribuibili ai comunisti, che hanno invece contribuito, assieme alle diverse realtà democratiche, all’uscita dell’Italia da una dittatura. I “pacificatori nazionali”, a partire dall’assessore regionale all’istruzione Elena Donazzan e dall’assessore Silvio Giovine, se fossero davvero interessati a questo percorso, dovrebbero prenderne atto e riconoscere le responsabilità del fascismo, perché la continua rimozione del passato, unito al suo sdoganamento nel presente, indica ai nostri occhi, tutt’altro!

La “pacificatrice nazionale” Elena Donazzan, assessore in Regione Veneto all’istruzione, alla formazione e al lavoro per Fratelli d’Italia, mentre indossa una collanina con un famoso simbolo neofascista, la croce celtica.