28 agosto 1970: la bomba alla stazione di Verona Porta Nuova

Il 28 agosto è stato il cinquantennale dalla “tentata strage” alla stazione di Verona Porta Nuova, termine che si adatta perfettamente ai fatti che ci accingiamo a raccontarvi.

Il 28 agosto 1970 una valigia contenente una bomba ad orologeria fu piazzata nella sala passeggeri della stazione di Verona Porta Nuova e solamente per un caso fortuito il brigadiere della polizia ferroviaria Mario Casagrande, sentendo un ticchettio provenire dalla borsa incustodita, sventò l’attentato.

La versione riportata dal giornale “La Cronaca di Verona” e L’interrogazione in Senato redatta all’epoca dal senatore Albarello sembra indicare che Casagrande abbia caricato la bomba in macchina portandola in un luogo isolato dove, all’incirca dopo un’ora, avvenne l’esplosione.

 

Si tratta, a nostro avviso, di un punto oscuro della vicenda dato il comportamento di Casagrande sicuramente contrario a tutte le procedure e potrebbe avere influenzato il corretto svolgimento delle indagini successive.

Nessun accenno ad un’evacuazione della stazione o all’impiego di artificieri. La stessa risposta all’interrogante da parte del Ministro dell’interno, Franco Restivo, datata 21 marzo 1971, indica che il materiale esplodente è stato raccolto sul luogo dell’esplosione e CHE quindi la bomba non fu disinnescata precedentemente.

Vogliamo precisare  che non abbiamo alcun elemento, se non questi pochi e parziali indizi, per poter affermare che forse si trattò di un’azione dimostrativa, (magari accompagnata ad un messaggio che avvisava della presenza della bomba e dell’orario dello scoppio) e quindi confutare la versione che appare su articoli e documenti ufficiali.

Non vogliamo inoltre ledere in alcun modo l’immagine del brigadiere che forse, seppure in modo impulsivo, compì davvero un gesto eroico mettendo a repentaglio la sua stessa vita, ma la  tesi che ipotizziamo sopra potrebbe essere supportata anche dal fatto che, come scrisse nella sua risposta il ministro Restivo, la bomba fu depostata nella notte. Forse, se la volontà fosse stata veramente quella di causare una carneficina, la bomba sarebbe stata piazzata durante il momento di maggior afflusso di persone, e quindi di giorno, proprio come accadde dieci anni dopo nella stazione di Bologna.

In ogni caso, al di là delle nostre ipotesi che valgono davvero poco, resta il fatto di un atto criminoso e potenzialmente omicida, perpetrato da persone mai identificate. Le indagini, infatti, come conferma la risposta del ministro, non hanno portato a nulla, ma questo non significa che non si possano fare delle ipotesi, ben più fondate della precedente.

Il contesto storico nel quale si sono svolti i fatti è quello dell’inizio della strategia della tensione. Solamente sei mesi prima era esplosa la bomba alla Banca dell’Agricoltura in Piazza Fontana, a Milano. Le indagini furono viziate da apparati dello stato collusi con la Loggia Massonica P2 di Licio Gelli e con le trame eversive della Nato e dei servizi segreti statunitensi (vedi operazione Gladio) che tentarono di difendere i colpevoli appartenenti ai movimenti neofascisti.

Infatti la manovalanza per il compimento delle stragi tese a destabilizzare l’Italia, fu reclutata tra le organizzazioni neofasciste dell’epoca, di fatto alleate e coperte dai poteri già menzionati e che allora apparivano occulti, o addirittura sconosciuti, ai più.

Un posto di rilievo in quegli intrecci che favorirono il terrorismo nero, purtroppo, lo merita la nostra città. A Verona risiede ancora oggi il Comando Nato delle forze terrestri del Sud Europa, che, accomunata ad una tradizione fascista che risale ai tempi della Repubblica di Salò e al Manifesto di Verona che la formalizzò, creò all’epoca il terreno perfetto per la coltura dei germinaio che contribuì notevolmente ad insanguinare le città del nostro Paese.

Una delle figure chiave di questo progetto era sicuramente Amos Spiazzi, all’epoca capitano di artiglieria affiliato a Gladio, creatore e responsabile della V legione di gladiatori di stanza a Verona, formata 50 possibili guerriglieri.

Secondo la sentenza sull’eversione nera redatta dal giudice Guido Salvini nel 1995, il colonnello Amos Spiazzi era il tratto d’unione tra gli ambienti militari e l’organizzazione neofascista Movimento Politico Ordine Nuovo in Veneto.

Il luogo d’incontro tra gli attivisti di Ordine Nuovo e alcuni ufficiali dell’esercito non era la sede del movimento neofascista situata in via Scudo di Francia, e nemmeno il bar Motta o la birreria Forst in Piazza Brà, luoghi abitualmente frequentati dagli estremisti di destra, ma la palestra di arti marziali di via Sabotino, proprietà di Elio Massagrande, fondatore della cellula veronese di Ordine Nuovo e dirigente nazionale del movimento, e della moglie di Amos Spiazzi! Coincidenze?

Nell’interrogazione di Albarello citata in precedenza, e inerente lo stato delle indagini sulla bomba alla stazione, il senatore chiede se alcuni fatti accaduti in precedenza non siano in qualche modo connessi con il tentato attentato, ventilando così la pista neofascista. Una della vicende riportate dal senatore è il rinvenimento di un deposito di armi da guerra nella provincia di Verona avvenuto nel 1966. I responsabili individuati nell’occasione, risponde il ministro Restivo, (che peraltro smentisce categoricamente ogni possibile legame con la bomba di Porta Nuova), è proprio Elio Massagrande. Assieme a lui viene indicato anche Roberto Besutti, mantovano, creatore, con Massagrande, della cellula neofascista veronese. Si trattava forse di uno dei depositi di armi dell’organizzazione Gladio, della quale era responsabile lo stesso Amos Spiazzi?

Elio Massagrande, in seguito, fuggirà latitante in diversi paesi europei, prima di approdare in Paraguay dove, per conto del dittatore fascista Stroessner, contribuirà alla formazione dei corpi di èlite dell’esercito.

La cellula veronese di Ordine Nuovo pare sia stata implicata anche nella strage di Piazza della Loggia, a Brescia, e, recentemente, proprio il giudice Guido Salvini, che investigò a lungo sulle stragi neofasciste, ha rivelato in un suo libro che l’esecutore materiale della strage di Piazza Fontana era il “paracadutista” veronese, che in seguito è stato individuato dal giornalista Barbacetto nell’ordinovista Claudio Bizzarri.

Per onesta intellettuale è doveroso dare conto di un’altra pista seguita, e cioè quella relativa ai terroristi del Bas, un gruppo indipendentista che aveva come obiettivo la secessione dell’Alto Adige dall’Italia. Lo stesso ministro Restivo dette notizia di indagini che si erano spinte fino in Austria e Germania, i paesi che solitamente ospitavano i terroristi fuggitivi, alcuni dei quali con un passato legato al nazismo.

In realtà questa ulteriore ipotesi appare ben poco concreta perché il Bas si sciolse un anno prima dell’attentato alla stazione di Verona, e da diverso tempo dava comunque segnali di importante indebolimento.